In data 30.10.1992 e 27.11.1992 (rispettivamente per il settore industria e per il settore commercio) sono stati stipulati Accordi Economici Collettivi di diritto comune “… al fine di dare piena ed esaustiva attuazione al nuovo articolo 1751 c.c.”.
Negli accordi del 1992 si è cercato di considerare entrambi i due elementi: apporto di clientela ed equità, che però di fatto sono stati disciplinati separatamente, mentre nella direttiva sono parti di un unico concetto.
In definitiva il concetto meritocratico contenuto nella direttiva è risultato stravolto prima dal D.Lgs. n. 303/91, e poi dagli Accordi Economici Collettivi del 30.10.92 e 27.11.92.
Più ancora questi Accordi Economici Collettivi sono in netto contrasto con la natura dell’indennità di fine rapporto che sta alla base dell’origine del rapporto di agenzia.
Per quanto attiene all’inefficacia di quegli accordi perché incompatibili con l’articolo 1751 c.c. e con l’art. 17 n. 2 della direttiva, si osserva che gli Accordi Economici Collettivi sono tali per cui non è pensabile una loro definizione in contrasto con le norme di legge.
Né d’altra parte potrebbero ostacolare o impedire l’applicazione di una direttiva comunitaria, in applicazione del principio della prevalenza del diritto comunitario. Ancora, non si vede come le associazioni abbiano potuto attuare l’articolo 1751 cod. civ., che non fa alcun riferimento alla possibilità di accordi determinati tra le associazioni di categoria.
Concludendo sul punto, applicando gli accordi economici del 1992, si avrebbe la macroscopica aberrante conseguenza giuridica di Accordi Economici Collettivi, di diritto comune, che porrebbero nel nulla una norma imperativa (nuovo art. 1751 c.c.) facendo rivivere una norma (precedente art. 1751 c.c.) che il nuovo articolo 1751 c.c. ha abrogato.
Questi accordi non potrebbero mai intaccare il valore e l’efficacia del nuovo art. 1751 c.c., non potendo impedire che un agente, una volta ottenuto quanto gli spetta dalla loro applicazione, possa successivamente richiedere al giudice la differenza rispetto al maggiore importo a lui dovuto ex art. 1751 c.c. nuova versione.
“Indubbiamente l’art. 1751 c.c., penultimo comma, (<< Le disposizioni di cui al presente articolo sono inderogabili a svantaggio dell’agente >>) è applicabile ad accordi derogativi a vantaggio dell’agente nel singolo rapporto contrattuale tra agente e preponente.
E’ appena il caso di evidenziare che al momento dell’emissione del D.Lgs. 10.9.91 (e prima quindi della stipulazione degli Accordi “Ponte” 92) la disposizione derogativi sopra menzionata dell’art. 1751 c.c. si riferiva unicamente al singolo rapporto contrattuale.
Rilevo infine l’illogicità giuridica che deriverebbe (considerando validi gli Accordi Economici del ’92, in luogo dell’art. 1751 c.c.) dalla circostanza che nell’ipotesi di attività di agente svolta all’estero, gli Accordi Economici del ’92, non applicabili perché limitati territorialmente all’Italia, non potrebbero in ogni caso impedire l’applicazione del solo art. 1751 c.c.” (Baldi – Contratto di Agenzia – Giuffrè Ed. 2001).
A ciò deve aggiungersi la validità degli Accordi Economici del ’92 ai soli iscritti alle rispettive associazioni firmatarie. Anche in questo caso, in assenza di prova dell’iscrizione nel 1992, tali accordi risultano del tutto non applicabili.
“Il decreto legislativo n. 65 del 15.2.1999.
In pieno riscontro con le precedenti considerazioni e per una retta enunciazione dell’art. 1751 c.c., la Commissione Europea, come già osservato, ha elevato una reprimenda nei confronti dello stato italiano, reprimenda che non ha mancato di avere ulteriori riflessi sull’inefficacia degli accordi del ’92, cosiddetti “Ponte”, che si basavano sulla supposta alternatività dei due elementi “apporto clientela” ed “equità” contenuti nel testo dell’art. 1751 c.c. emesso ex D.Lgs. n. 303/91.
Alla base della reprimenda della Commissione Europea, è appunto questo insanabile contrasto tra l’art. 1751 c.c. e l’art. 17 n. 2 della direttiva da una parte e gli accordi collettivi “Ponte” dall’altra … . A seguito della predetta reprimenda, lo Stato italiano ha emesso il D.Lgs. 15.2.99 n. 65 che ha modificato … anche l’art. 1751 c.c. … al fine di riconoscere il diritto dell’agente all’indennità di fine rapporto, in funzione del criterio meritocratico enunciato dalla direttiva comunitaria” (Baldi – Il contratto di agenzia – Giuffré Ed. 2001).
Resta unicamente, poiché non espressamente risolto dal legislatore, il problema della quantificazione dell’indennità.
La circolare della Commissione Europea che si allega, richiamandosi alla dottrina tedesca della indennità, ha comunque stabilito un parametro di quantificazione.
La dottrina italiana non vede comunque particolari difficoltà nel determinare la misura dell’indennità, per ogni singolo caso, in misura proporzionale al massimo previsto.
A questo risultato il magistrato potrebbe giungere anche ora sia facendo riferimento al testo della direttiva ed al suo carattere di prevalenza rispetto alla legge nazionale, sia in base a quei poteri discrezionali che in tema di danno per inadempimento contrattuale gli sono conferiti dalle norme del codice civile, in particolare dagli artt. 1228 e segg., senza contare il riferimento all’equità costantemente contenuto nello stesso art. 1751, anche nelle precedenti versioni.
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